Ceramica

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Ceramica

La ceramica è un materiale che si ricava dall’argilla; il termine ceramica deriva infatti dal greco kéramos, che vuol dire argilla, terra da vasaio.

Il termine argilla indica un sedimento non litificato – che non è una roccia – estremamente fine (le dimensioni dei granelli sono inferiori a 2μm di diametro) costituito principalmente da alluminosilicati.
In generale le argille si formano in ambienti a ridotta energia idrodinamica, infatti i sedimenti che le compongono sono facilmente trasportati in sospensione anche da leggerissime correnti; alcuni ambienti tipici di formazione sono: laghi, fondali oceanici, lagune.
L’argilla è malleabile quando idratata e può quindi essere facilmente lavorata con le mani. Quando è asciutta diventa rigida, e quando è sottoposta a un intenso riscaldamento subisce una trasformazione irreversibile, diventando permanentemente solida e compatta.

Dall’argilla alla ceramica

La lavorazione dell’argilla è iniziata nel Neolitico, quando donne e uomini ne hanno apprezzato la facile plasmabilità, soprattutto rispetto a materiali non plastici come la selce.
Il Neolitico segna un momento storico di passaggio molto importante da una struttuta sociale basata sulla caccia e la raccolta a un’economia fondata sulla coltivazione e l’allevamento.
La nuova struttura delle comunità richiede una trasformazione tecnologica che permetta la conservazione e l’accumulo di quanto viene coltivato e dei prodotti dell’allevamento: l’argilla, un materiale facilmente reperibile e di semplice lavorabilità, rappresenta una risposta a questa esigenza.

I manufatti, lasciati essiccare all’aria potevano indurire mantenendo la forma. Questi manufatti erano però fragili: la grande scoperta avvenne probabilmente per caso quando alcuni di questi manufatti, lasciati attorno al fuoco, vennero ritrovati duri e compatti: l’argilla, per l’azione del calore, si era trasformata in ceramica.

In Grecia

In Grecia si utilizzava in prevalenza il caolino. Il caolino è una roccia clastica o detritica coerente costituita prevalentemente da caolinite, un minerale silicatico delle argille. Il caolino ha un aspetto terroso e piuttosto tenero ed è prodotto dall’azione dell’acqua meteorica su rocce costituite principalmente da minerali a struttura laminare, rocce feldspatiche (K,Na)AlSi4O8 (CaAl2Si2O8), di origine magmatica effusiva o intrusiva, oppure di origine metamorfica.

La lavorazione della ceramica nacque probabilmente per rispondere a esigenze di tipo domestico per poi evolvere in una vera e propria arte, caratterizzata da stili diversi nelle varie epoche della civiltà e che culmina con la ceramica a figure nere.
La ceramica a figure nere è caratterizzata dal disegno di figure in vernice nera sul fondo d’argilla e dall’utilizzo delle incisioni (praticate prima della cottura), tramite bulino o altri strumenti appuntiti, per evidenziarne i particolari che risultano così costituiti dall’emergere del colore proprio del fondo argilloso.

Manufatti ceramici

La plasmabilità dell’argilla aveva permesso di creare statuette votive, manufatti che servivano per contenere alimenti come vasi e recipienti, piatti, coppe e bicchieri, oppure monili e gioielli.

Ma l’argilla dopo la cottura mostrava altre caratteristiche importanti: era un materiale tenace, dotato di solidità e durezza, per cui venne presto impiegato per realizzare laterizi, elementi come mattoni, coppi e tegole da impiegare nella costruzione di edifici, ma anche per costruire forni, visto che l’argilla cotta mostrava un’ottima resistenza all’azione del calore.

Lavorazione della ceramica

L’argilla è un materiale che diventa plasmabile (plastico) a contatto con l’acqua, per cui risulta facile dargli una forma.
Una volta lasciato all’aria poi perde parte del suo contenuto in acqua e indurisce, mantentendo così la forma.

L’argilla, un materiale plastico

La lavorazione della ceramica è avvenuta dapprima col solo uso delle mani.
Le prime ruote da vasaio fanno la loro comparsa tra i Sumeri in Mesopotiama, probabilmente attorno al terzo millenio prima della nascita di Cristo. Altri reperti indicano il sudest Europeo oppure la Cina come altri possibili luoghi in cui si sia sviluppata.
Se le prime ruote da vasaio erano ruote lente, probabilmente dei semplici dischi di ceramica in grado di ruotare su se stessi, un cambiamento importante ebbe luogo con l’introduzione delle ruote veloci.

La ruota da vasaio veloce sfrutta l’inerzia della massa della ruota di pietra (il volano) che permette di immagazzinare l’energia di rotazione e di accelerare il movimento della ruota.

All’inizio le ruote venivano azionate con le mani, in particolare la mano sinistra veniva utilizzata per far ruotare la ruota e la destra per dar forma al manufatto.
In seguito, probabilmente durante l’età del ferro, la ruota da vasaio era costituita da un disco rotante posizionato a un altezza di circa 1m dal povimento connesso attraverso un albero al volano che si trovava in basso e poteva essere azionato con i piedi, lasciando così libere entrambe le mani del vasaio.

Utilizzare i piedi per “calciare” la ruota doveva essere piuttosto complicato: la soluzione arrivò con l’introduzione di un meccanismo di tipo biella-manovella basato su due pedali che venivano aternativamente alzati e abbassati.

Oggi il tornio che viene utilizzato nella lavorazione della ceramica è generalmente azionato da un motore elettrico e permette la regolazione della velocità di rotazione del piatto.

Terracotta e ceramica smaltata

L’argilla cotta –terracotta– è un materiale poroso, e già nell’antichità per ridurre la porosità del materiale si faceva ricorso alla tecnica dell’ingobbio.
Nell’ingobbio si prepara un impasto finemente tritato di argilla a cui si aggiunge una quantità di acqua tale da costituire una miscela abbastanza densa e omogenea con cui si ricopre la superficie del biscotto (manufatto indurito e cotto).
Graffiando l’ingobbio crudo con una punta si potevano ottenere dei disegni che evidenziavano il colore del biscotto dopo la cottura (ceramiche graffite).
Oggi l’ingobbio è generalmente bianco e serve come base per la decorazione; se invece si aggiungono ossidi, terre o pigmenti alla miscela, si può conferire un colore al manufatto.

Sulla sinistra vaso arabo invetriato, sulla destra manufatti in ceramica colorati con la tecnica dell'ingobbio.

Per rendere il manufatto impermeabile all’acqua si procede invece all’invetriatura.
L’invetriatura è un rivestimento della superficie del manufatto con vernici a base di silice (contenenti quindi quarzo) che dona al manufatto un aspetto vetroso e lo rende impermeabile.

Dopo l’ingobbio il manufatto deve subire una nuova cottura, e così anche dopo essere stato rivestito di vetrina.

Cottura dell’argilla: la ceramica

L’idea di cuocere i manufatti di argilla probabilmente venne per caso osservando dei pezzi di argilla che si erano induriti dopo essere stati esposti a un fuoco, con la cottura l’argilla si trasformava in ceramica.

Le prime cotture di manufatti risalgono a 29.000-25.000 anni prima della nascita di Cristo e avvennero in delle buche fatte nel terreno: sul fondo venivano disposti i manufatti che erano poi ricoperti con rami e legna da ardere e lasciati cuocere.

Con la cottura il materiale subisce una serie di trasformazioni sotto l’effetto del calore: in particolare perde parte dei gas contenuti nei suoi pori, alcuni elementi chimici si sciolgono per formare composti vetrosi che induriranno poi durante il raffreddamento per formare dei cristalli, altri reagiscono con altri elementi per dare nuovi composti e così via. Tutto questo dipende dai materiali presenti durante la cottura, dalla temperatura del forno e dalla velocità della cottura.
L’intero processo di cottura avviene in atmosfera e l’ossigeno, uno dei componenti principali dell’atmosfera, è anche uno dei componenti principali dei materiali che si utilizzano per le ceramiche.
L’ossigeno è un elemento molto reattivo, infatti quando scaldiamo un elemento non ossidato (ovvero sia che non ha ancora reagito con l’ossigeno), questo subisce una trasformazione e si lega all’ossigeno, si ossida.

Se le prime cotture avvenivano all’aria aperta, i resti dei primi forni chiusi datano circa 6000 aC e sono stati rinvenuti in Iraq nella valle del Tigri.

Successive modifiche hanno migliorato la tecnologia dei forni. I forni greci per esempio avevano una camera di combustione separata dalla camera in cui venivano messi i materiali di argilla da cuocere e prevedevano delle aperture per permettere (o impedire) l’ingresso dell’aria nel forno.

I fattori critici della cottura sono la temperatura e l’ambiente di cottura. Temperature tra 800 e 900°C sono sufficienti per terracotte e terraglie; è importante agire sul ricambio di aria e grantire un raffreddamento lento del manufatto perché non si creino fratture o rotture.

Chimica della cottura

Durante la cottura i residui organici (resti vegetali o animali rimasti intrappolati nell’argilla) vengono eliminati come anidride carbonica insieme al vapor d’acqua: la fuoriuscita di questi gas lascia dei pori nel materiale.
Anche il colore del materiale cambia con la cottura, per esempio nel caso in cui il forno ha un buon ricambio di aria il ferro si ossida a trivalente per formare ematite, caratterizzata da colori dal giallo al rosso-mattone.

Le tecniche di cottura della ceramica si sono mostrate da subito fondamentali nella realizzazione degli oggetti ceramici.
I greci per esempio riuscivano a controllare la cottura per ottenere le bicromie rosso-nere caratteristiche delle loro ceramiche.

In particolare la cottura avveniva in tre fasi, per realizzare un processo di ossidazione-riduzione-nuova ossidazione:

  1. Ossidazione. La cottura avveniva a temperature di circa 800°C in presenza di ossigeno, in queste condizioni il ferro metallico si ossida per formare ossido di ferro, caratterizzato da colori che vanno dal rosso accesso all’arancio.
  2. Riduzione. Alla fase di ossidazione seguiva una fase di riduzione: la temperatura veniva innalzata sopra i 900°C, veniva interrotto l’apporto di ossigeno e veniva introdotta legna fresca per generare umidità all’interno della camera di combustione. In questo modo veniva a crearsi monossido di carbonio, che reagiva con l’ossido di ferro per formare ossido ferrico, caratterizzato da colori che vanno dal vede scuro, al grigio al nero. Le particelle fini dell’ingobbio, a differenza di quelle del corpo del manufatto, subivano una trasformazione irreversibile che le modificava in maniera permanente.
  3. Nuova ossidazione. La temperatura veniva fatta scendere sotto i 900°C, veniva reintrodotto un po’ ossigeno e l’ossigeno in parte ancora presente nel corpo del manufatto portava a una nuova ossidazione del minerale ferroso che dava colori dall’arancio brillante al rosso.